Review from Aristocrazia Webzine
December 1, 2020From: Aristocrazia Webzine
Published: November 30, 2020
Uscito per BadMoodMan Music e Hypnotic Dirge sul finire dello scorso settembre, Einderlicht (letteralmente: la luce alla/della fine) è il più giovane figlio dei Marche Funèbre, cinque musicisti di Anversa tutt’altro che novizi del sottobosco estremo. Formatosi nel 2008 e dopo aver reclutato Boris Iolis (Ah Ciliz, L’Hiver En Deuil, Soul Dissolution) come bassista nel 2013, il quintetto aveva già dato alle stampe tre album, due EP e due split — in precedenza con i connazionali A Thousand Sufferings e poi con gli ormai sciolti Eye Of Solitude di Daniel Neagoe (Clouds, Aeonian Sorrow e Bereft Of Light, tra gli altri) e Xander Cozaciuc (Descend Into Despair, Pantheist) — riuscendo pian piano a ritagliarsi un posticino all’interno della nicchia del death-doom molto devoto al canone.
Passato sotto le sapienti mani di Schwadorf, al secolo Markus Stock, il quarto album dei Marche Funèbre rilegge il canone in pieno stile Marcia Funebre: echi di Paradise Lost e My Dying Bride pervadono l’ora e spiccioli di Einderlicht, filtrati, rielaborati e nascosti tra le goticheggianti linee di chitarra di Peter Egberghs e Kurt Blommé, sempre ottimamente supportate dalla sezione ritmica appannaggio dell’ultimo arrivato Boris Iolis e Dennis Lefebvre, ma è la prova vocale di Arne Vandenhoeck a colpire maggiormente. Basti come esempio la conclusiva “Einderlicht”, la migliore dell’intero lotto assieme a “The Maelstrom Mute”, secondo chi scrive. Da cima a fondo, il belga dà prova di essere un cantante molto versatile, capace di alternare agilmente il pulito più doomico e a tratti anche vagamente stoneroso allo scream più virulento, senza farsi mancare passaggi in growl gutturalissimi, tutti aspetti messi perfettamente in mostra nella traccia nascosta “Gone” (piazzata dopo due silenzi lunghi 3’33” l’uno, perché sì).
Nonostante non ci sia un solo pezzo di breve durata, nella scaletta di Einderlicht difficilmente si troveranno punti deboli o singoli momenti tedianti. L’inizio è affidato a “Scarred”, brano che dà subito un’idea concreta di quali siano i confini musicali della band e un assaggio della componente meno spinta e più attenta alla costruzione atmosferica del sound; già con la successiva “The Eye Of The End”, però, quei confini si allargano e, pur rimanendo nell’oscuro mondo del death-doom, ne saggiamo sfumature diverse. Da qui in poi la cupa narrazione dei Marche Funèbre procede senza soluzione di continuità sul tema della «stranissima abilità del genere umano di porre deliberatamente fine alla propria vita». Merita una menzione assolutamente a sé stante “The Maelstrom Mute”, un omaggio personalmente graditissimo all’opera di Pavese Verrà La Morte E Avrà I Tuoi Occhi, sulla quale è basato il testo del brano e dal cui ultimo verso prende esso stesso il titolo:
«Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
Come vedere nello specchio
Riemergere un viso morto,
Come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.»
Il 2020 ha dato prova di essere sul serio un’annata di merda su tutti i fronti tranne quello musicale. Tante, forse troppe ottime uscite rischiano di passare inosservate, sommerse dalla miriade di dischi bruttini (o assolutamente inutili) usciti in contemporanea e non vorrei che Enderlicht facesse questa fine. In tutto ciò, un solo pensiero mi consola, e cioè che chiunque ascolti quest’album non potrà non essere d’accordo con me. Quest’anno verrà la morte e avrà i tuoi occhi, le parole di Cesare Pavese e la voce dei Marche Funèbre.
Reviewed by: Oneiros
Posted by Nick Skog. Posted In : Italian