From: Aristocrazia Webzine
Published: November 25, 2020
Da sempre l’uomo volge lo sguardo verso il cielo e si interroga sull’ignoto cosmico, a tal punto da creare gruppi fortemente incentrati su ciò che le stelle possono avere in serbo per noi. I Wills Dissolve sono nati con queste premesse e, dopo un iniziale The Heavens Are Not On Fire… dalla natura grezza ma promettente, il gruppo americano ha deciso di lanciarsi nell’esplorazione spaziale con Echoes. L’unica traccia omonima, dalla durata di poco più di mezz’ora, è infatti cuore e anima di quello che Andrew Caruana e soci hanno immaginato potesse essere il possibile viaggio spaziale di un astronauta. Non un viaggio qualsiasi però, ma una missione verso l’ignoto, una spedizione di sola andata che, inevitabilmente, mette il protagonista di fronte a ogni tipo di domanda e sfida: cosa c’è oltre il limite conosciuto? Come affronterò fenomeni cosmici complessi (l’immancabile buco nero)? Come reagirò all’ineluttabilità del vuoto? Perché l’ho fatto?
Tematicamente sublime, anche perché gli eventi vengono dipanati con una tale ricercatezza da rappresentare musicalmente i diversi momenti vissuti. Se infatti l’ultima comunicazione, nonché inizio del viaggio, è rappresentata da arpeggi e dalla caldissima voce di Caruana (che ricorda spaventosamente il clean di Mikael Åkerfeldt), il viaggio attraverso l’oscurità prende sempre più la forma di un progressive melodico, neanche troppo diverso da ciò che potremmo aspettarci da artisti che si sono posti lo stesso interesse cosmico (Rush, Ayreon). Le avversità però sono di tutt’altra pasta: la perdita di contatto con la realtà e la sensazione di essere trascinati sono tutte figlie dell’esagerazione avantgarde; non negherò di averci sentito pure rimandi a The Sham Mirrors. E così che via via il nostro protagonista si perde nello spazio, temi e musica oltrepassano i limiti di un genere, alternando ritmiche da progressive death a un black metal cosmico neanche troppo distante dai carissimi Progenie Terrestre Pura.
Echoes è chiaramente una prova: un segno di brillante curiosità, condito da un’evoluzione compositiva che ottiene il mio totale rispetto e interesse, anche grazie a una custodia finemente disegnata che fa la sua figura. Una prova più che superata, che non vedo l’ora di ripetere per riaffacciarmi su quel vuoto che il quartetto texano sa rappresentare così magnificamente.
Reviewed by: Kelvan